24 aprile. Oggi ricorrono i 110 anni del genocidio armeno. Una data che, nel silenzio di molti, continua a pesare come una pietra. Più di un milione di persone sterminate nei territori dell’Impero Ottomano, in uno dei primi crimini contro l’umanità del Novecento. Eppure, per una parte dell’opinione pubblica europea, questo capitolo resta ancora qualcosa di lontano, sfocato, quando non addirittura volutamente rimosso.
In Italia in particolare questa pagina della storia di un paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea, è praticamente assente. L’opinione pubblica italiana non conosce nulla del genocidio armeno e spesso lo confonde con altri eventi storici.
l primo ministro armeno Nikol Pashinyan, nel tentativo di normalizzare i rapporti con Ankara, ha adottato una posizione ambigua sulla questione del genocidio, evitando di rivendicarne ufficialmente il riconoscimento. Un atteggiamento che in Armenia è stato vissuto da molti come una rinuncia alla memoria, se non un vero tradimento. Chi non conosce l’evento tende a giustificare la scelta, in nome della pace. Chi invece lo conosce la vive come un’umiliazione, quasi personale.
Alcuni attivisti a Berlino hanno proiettato delle immagini molto eloquenti sull’ambasciata armena. La scritta, in armeno, diceva semplicemente: “Dimenticare è un crimine”. Poche parole, ma sufficienti a far riemergere la frattura profonda tra memoria e convenienza politica. A renderla più amara è il comportamento delle istituzioni europee, che evitano accuratamente di riconoscere ufficialmente il genocidio armeno, per non incrinare i rapporti con la Turchia, Paese membro della NATO. Eppure, non hanno esitato a considerare come genocidio la carestia in URSS negli anni Trenta, che la storiografia nazionalista ucraina chiama Holodomor, pur in presenza di un dibattito ancora aperto tra storici. Due pesi, due misure.
L’ignoranza storica tra la popolazione italiana però, che si appresta a festeggiare il 25 aprile, il giorno della liberazione dell’Italia dall’occupazione fascista, non si limita solo all’Armenia. Della Moldavia, ad esempio, pochi sanno qualcosa, nonostante i suoi cittadini residenti in Italia abbiano contribuito in modo decisivo all’elezione della presidente Maia Sandu.
Sull’ingresso di Armenia, Ucraina e Moldavia nell’Unione Europea, l’opinione pubblica italiana non sembra esprimersi in maniera molto favorevole. Questi Paesi, si dice, non rispettano i criteri di ammissione, rischiano di costare troppo al bilancio europeo, e aumentano potenzialmente l’instabilità geopolitica; una lezione già imparata con l’Ucraina e la sua ventilata adesione alla NATO.
Il 24 aprile dovrebbe essere un giorno di raccoglimento. Di memoria. Di responsabilità. Invece, ancora una volta, diventa campo di battaglia. E la memoria, come sempre, è la prima vittima delle guerre del presente.