Kakhovka - Каховка

Kakhovka, Nova Kakhovka e Aleshki, droni e bombardamenti sui civili

Sui media occidentali non si parla praticamente più dell’Oblast di Kherson. Dopo che la Diga di Nova Kakhovka è stata bombardata dall’Ucraina, cosa che l’Ucraina ha come da copione negato, e l’acqua del bacino del Dnepr ha inondato tutto il territorio a valle, inclusi molti insediamenti civili.

I media occidentali si sono immediatamente lanciati nell’accusa alla Russia, che avrebbe fatto saltare la diga per impedire la “grande controffensiva” ucraina nella regione di Kherson. Peccato che l’inondazione a valle della diga abbia toccato anche diverse posizioni russe, che sono state quindi arretrate. Tutto questo senza considerare che la “grande controffensiva” ucraina del 2023 fallì miseramente nonostante la grande pubblicità fatta in Occiendete e tutte le risorse che dall’Eurpopa e dagli USA sono arrivate in Ucraina.

Ma come si presenta oggi la regione di Kherson e come vivono le città che si trovano sul lato russo del fiume Dnepr? Non avevo mai vistato l’oblast di Kherson prima d’ora, era l’unico dei nuovi territori russi che non avevo ancora raggiunto e quindi la mia curiosità era tanta.

Il primo centro che visito e Genichesk, centro amministrativo provvisorio della regione. Una ridente località di mare, classica cittadina costiera russa, con case basse e moltissimo potenziale turistico. Sembra tutto molto tranquillo, ma basta parlare un po’ con gli abitati per capire che qui, come a Zaporozhye il problema principali sono i droni.

E come capire meglio la situazione se non visitando quelli che sono gli insediamenti lungo il fiume? Kakhovka, Nova Khakovka e Aleshky, di fronte a Kherson. Il primo insediamento che raggiungo, dopo un paio d’ore di macchina è proprio Kakhovka. Riesco ad arrivare proprio sulla riva del Dnepr, sul lungofiume della città, quando vengo fermato dal filo spinato e da un cartello molto molto chiaro: “mine”. Mi separano tre o quattro chilometri dall’altra riva, controllata dall’esercito ucraino. In città c’è pochissima gente che gira in strada, anche se i negozi sono aperti. La gente sa che girare in strada significa esporsi al rischio dei droni e dell’artiglieria, che qui colpisce continuamente edifici civili, case. Obiettivi militari in città non ce ne sono, dato che i militari sono nelle posizioni, più avanti rispetto alla città. Arrivo al locale ospedale. Poco tempo fa un missile vampire, uno dei missili occidentali forniti all’Ucraina per difendere la “democrazia e la libertà”, è arrivato proprio sull’ospedale di Kakhovka, un ospedale che serve la popolazione civile della città, non un ospedale militare.

Un’ora prima del mio arrivo in città un drone kamikaze aveva colpito una officina di riparazione auto, la raggiungo. Quello che ha colpito il drone è una semplice officina per automobili. Niente di militare, solo auto civili e operai civili che stanno lavorando. Il drone è arrivato nel piazzale ed ha distrutto tutte le auto parcheggiate. Grazie a Dio nessuno è rimasto ferito, perché in quel momento nessun operaio stava lavorando all’aperto. A terra oltre ai detriti c’è ancora la benzina fuoriuscita da uno dei serbatoi, che poteva incendiarsi e causare un grave incendio che avrebbe potuto attaccare altre strutture oltre questa officina bombardata. Il comitato investigativo ha già raccolto i reperti necessari per catalogare e documentare questo ennesimo attacco ucraino contro i civili. Gli stessi civili che l’Ucraina pretende, nella sua propaganda per l’Occidente, di volere liberare dalla “occupazione russa”.

Rientro in macchina e mi dirigo verso il centro di Nova Kakhovka, la città che ospita la diga e la relativa stazione idroelettrica. Qui la città è veramente deserta. Tutti sono chiusi dentro le loro case, specialmente chi vive vicino la riva del fiume. Il pericolo dei droni è tangibile. Intervisto una funzionaria locale, Anna Polonskaya, mi dice che stare in strada è molto pericoloso, che la città è costantemente attaccata dai droni ucraini e dai mortai che, dice testualmente, “sparano sulle case”. Anna lo ripete: “qui non ci sono obiettivi militari, i militari sono nelle loro posizioni”. Ma evidentemente alle forze armate ucraine questo non importa. Salgo su un palazzo per riuscire a filmare e fotografare la diga, ma devo stare molto attento, devo rimanere coperto perché dall’altra parte del Dnepr i cecchini ucraini sono sempre al lavoro, e poche cose li renderebbero più felici di sparare contro un giornalista che sta lavorando sul lato russo del fronte. La diga è li, danneggiata. Il fiume ora scorre senza nessun impedimento. I rumori dell’artiglieria però sono costanti. Non si può rimanere molto tempo qui, scendo e torno verso la macchina. Mentre stiamo tornando, insieme al collega con cui sono arrivato, sentiamo un ronzio “Drone!”; immediato il riflesso, dobbiamo nasconderci sotto gli alberi o nel primo edificio, lontani dalla strada. Passano un paio di minuti cosi, nel silenzio, dove si sente solo il rumore della pioggia e si prova ad ascoltare se il drone è ancora nell’aria.

Raggiunta la macchina partiamo a tutta velocità, la zona scotta ed è il caso di allontanarci velocemente. Ci dirigiamo verso la città di Aleshki, sulla riva sinistra del Dnepr. Di fornte la città di Kherson, che l’Ucraina ha riconquistato alla fine del 2022. La situazione qui è molto più tesa rispetto alle altre città. Arrivando, sulla strada, si vedono costantemente i relitti della macchine colpite dai droni kamikaze ucraini, insieme ai crateri scavati dai proiettili di artiglieria. Mentre ci avviciniamo alla città, Alexander, che sta guidando, mi dice che dietro di noi c’è un drone. Immediata l’accelerazione e la svolta nelle piccole vie della periferia della città. In questi casi alcuni trucchi possono salvare la vita; correre più veloce del drone, che ha una autonomia limitata e quindi potrebbe decidere di cambiare bersaglio, entrare in un viale alberato o in una via stretta tra i palazzi, in modo che il drone abbia difficoltà a seguire il bersaglio. Abbiamo fortuna e dopo qualche metro sembra che il drone ci abbia mollato. Nascondiamo velocemente la macchina in una specie di garage abbandonato e ci mettiamo a camminare per la città. Qui non posso portare nessuna protezione, niente abbigliamento verde. Devo evitare in qualsiasi modo di essere scambiato per un soldato od un giornalista. Non posso usare una fotocamera, solo il telefono. Soldato o giornalista non fa differenza per gli ucraini: sei un nemico.

Ad Aleshki c’è un silenzio totale, interrotto solo dalle esplosioni, più e meno lontane. A volte, per alcuni minuti, si riescono a sentire anche gli uccelli. Quando si passa vicino a qualche casa abitata, cosa abbastanza rara, si sente il rumore dei generatori. Qui infatti non c’è corrente elettrica e chi è rimasto si è adattato a vivere con i generatori. Non c’è una singola struttura intatta. Le forza armate ucraine sono riuscite a colpire veramente ogni struttura che potesse avere una valenza sociale. Farmacie, negozi, cliniche, uffici, alimentari. Non c’è nulla di utilizzabile. Addirittura il parco, dove c’è un piccolo memoriale per la Grande Guerra Patriottica, miracolosamente sopravvissuto all’opera di “decomunistizzazione” di Kiev post 2014, è stato danneggiato dall’artiglieria ucraina.

Mentre torno indietro mi chiedo come mai si parli cosi poco di questa regione in Occidente. Forse per la stampa occidentale raccontare quello che succede qui, con i colpi di mortaio e i droni sulle case, non è molto conveniente. Metterebbe in crisi la narrazione costante di Kiev, che anche in questi giorni non fa altro che chiedere armi e denaro ad Europa e Stati Uniti. Ma per fortuna non sono solo, qui ci sono molti giornalisti occidentali che sono pronti a raccontare una prospettiva diversa sul conflitto nella speranza di riuscire a squarciare quel velo che con grande insistenza, da anni, cerca di nascondere la realtà di quello che avviene qui.

Andrea Lucidi

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