Da ottobre 2023, quando mi sono recato per la prima volta in Libano, il paese viveva in un clima di attesa tesa e opprimente, come se la guerra fosse dietro l’angolo, pronta a scoppiare da un momento all’altro. Ovunque andassi, l’argomento era sempre lo stesso: la minaccia di un conflitto con Israele, che molti consideravano inevitabile. In quei mesi, tra ottobre e novembre, la solidarietà con la Palestina era palpabile, quasi tangibile nell’aria di Beirut e nelle altre città del paese. Ogni giorno, gruppi di giovani scendevano in piazza per manifestare contro l’attacco israeliano a Gaza, chiedendo a gran voce la fine delle ostilità e la liberazione del popolo palestinese.
Il Libano, già fragile e colpito da una crisi economica devastante, sembrava vivere in una sorta di limbo, tra il sostegno alla causa palestinese e la consapevolezza che la guerra avrebbe potuto presto travolgere il paese. Le tensioni nel sud del Libano, vicino alla Blue Line che separa il paese da Israele, erano costantemente presenti. I rapporti tra Hezbollah, il principale attore politico e militare del sud del Libano, e Israele erano tesi, con continui scambi di minacce e provocazioni.
Quando sono tornato a Beirut nell’agosto 2024, ho trovato una situazione che, se possibile, sembrava ancora più tesa. La popolazione continuava ad aspettarsi la guerra, una guerra che molti consideravano inevitabile. Hezbollah, che controlla di fatto il sud del Libano, si preparava da mesi a un eventuale conflitto. Fonti vicine al gruppo sciita mi avevano detto che Hezbollah non si sarebbe mai ritirato di fronte a un’invasione israeliana, anzi, avrebbe risposto con forza. “Israele avrà molte difficoltà ad entrare nel territorio libanese,” mi aveva detto un contatto vicino al movimento. Era chiaro che il conflitto, se fosse iniziato, sarebbe stato sanguinoso e difficile per entrambe le parti.
Nonostante le tensioni e le provocazioni, il Libano sembrava vivere in una strana calma apparente. Beirut, con la sua energia vibrante e la sua resilienza, continuava a pulsare di vita. Ma sotto la superficie, si percepiva l’inquietudine di un popolo che sapeva che la guerra poteva esplodere in qualsiasi momento. Era solo questione di tempo.
Questo fine settimana, l’attesa si è trasformata in realtà. L’esercito israeliano ha lanciato un’offensiva contro il Libano, definendola una “operazione di terra limitata” mirata a neutralizzare le postazioni di Hezbollah nel sud del paese. Tuttavia, nonostante la retorica israeliana, l’impatto dell’attacco è stato devastante fin dai primi giorni. Migliaia di civili libanesi sono già morti, colpiti dagli attacchi aerei e dall’artiglieria pesante. Le città del sud, tra cui Tiro e Nabatieh, sono state gravemente danneggiate, mentre migliaia di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case.
Il governo libanese, impotente di fronte alla potenza militare israeliana, ha denunciato l’attacco come una violazione della sovranità nazionale e ha chiesto l’intervento della comunità internazionale. Tuttavia, le risposte internazionali sono state finora limitate, con molte potenze occidentali che hanno espresso solo una blanda condanna, mentre altre hanno ribadito il diritto di Israele di difendersi.
Hezbollah, come previsto, non ha tardato a rispondere all’attacco. Le forze del gruppo hanno lanciato una serie di attacchi contro le posizioni israeliane lungo la Blue Line e hanno dichiarato che non permetteranno a Israele di occupare nuovamente il sud del Libano. Le parole del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, poi ucciso da Israele durante un bombardamento su Beirut, sono state chiare: “Hezbollah non si ritirerà. Difenderemo ogni metro del nostro territorio.”
L’organizzazione ha mobilitato migliaia di combattenti e ha iniziato a utilizzare la rete di tunnel e bunker costruiti nel corso degli anni nel sud del paese per colpire le forze israeliane. Tuttavia, nonostante la forza di Hezbollah, il costo umano di questo conflitto si sta rivelando altissimo, soprattutto per i civili.
In questo contesto, la missione UNIFIL, la Forza di Interposizione delle Nazioni Unite in Libano, si è trovata bloccata. Le forze di pace, che hanno il compito di pattugliare la Blue Line e prevenire escalation, hanno ricevuto l’ordine di non uscire dalle loro basi a causa della pericolosità della situazione. Questo ha di fatto paralizzato la loro capacità di operare e di prevenire ulteriori scontri. Il ritiro delle truppe UNIFIL dalla pattuglia della zona di confine ha lasciato un vuoto che ha consentito alle forze israeliane e a Hezbollah di intensificare gli scontri.
La situazione attuale in Libano è drammatica e lascia poche speranze per una risoluzione rapida. L’attacco israeliano, seppur dichiarato “limitato”, ha già causato una crisi umanitaria di vasta portata, con migliaia di sfollati e un bilancio delle vittime che continua a salire. La popolazione libanese, già provata da anni di crisi economica e politica, si trova ora a fare i conti con un nuovo conflitto devastante.
Per molti, questa guerra rappresenta il risultato inevitabile di anni di tensioni irrisolte tra Libano e Israele, e della presenza di Hezbollah come attore militare e politico dominante nel paese. Tuttavia, ciò che resta certo è che, come sempre, saranno i civili a pagare il prezzo più alto.
Mentre la comunità internazionale cerca di trovare una via per fermare l’escalation, il Libano entra in una nuova fase di instabilità e violenza. La guerra, che per mesi tutti temevano, è ora una realtà in cui il futuro appare più incerto che mai.
Andrea Lucidi