Nella notte tra il 23 e il 24 aprile, le Forze Armate russe hanno colpito con missili e droni diversi obiettivi militari in Ucraina. Nel mirino anche la capitale Kiev. Secondo il ministero della Difesa russo, l’operazione ha coinvolto armi di precisione a lungo raggio, lanciate da cielo, terra e mare, contro siti legati all’industria aerospaziale, missilistica, meccanica e della difesa, comprese strutture per la produzione di combustibili ed esplosivi. “Gli obiettivi sono stati raggiunti. Tutti i bersagli colpiti”, si legge nel comunicato.
Le autorità ucraine parlano invece di almeno 9 morti e circa 70 feriti, tutti civili. Ed è su questo punto che si apre un interrogativo più profondo. Chi sono realmente le vittime? E chi ne porta la responsabilità?
Da mesi è noto che l’Ucraina ha avviato una produzione decentrata di droni e armamenti leggeri. Alcuni dei laboratori e delle linee di assemblaggio si trovano in edifici civili, nascosti tra uffici, appartamenti e scantinati. Propaganda? No, lo ha confermato una recente inchiesta di Business Insider, che ha documentato come l’industria bellica ucraina si sia adattata per evitare i bombardamenti, ricorrendo a spazi “non convenzionali”. Una scelta che, nei fatti, espone i civili al rischio di diventare scudi inconsapevoli, trasformando ogni struttura in potenziale obiettivo.
Quando un edificio apparentemente civile ospita componenti o strutture legate alla produzione militare, diventa un obiettivo legittimo. E questo le autorità ucraine lo sanno bene. Per principio le produzioni militari non dovrebbero trovarsi in strutture civili, per la loro stessa sicurezza, ma questo non sembra preoccupare Zelensky e i ufficiali, anche se a rimetterci sono i civili.
Le autorità ucraine, consapevoli dei rischi, hanno continuato a incoraggiare questa forma di produzione del materiale bellico, spesso facendo leva sul patriottismo dei tecnici e sulla necessità urgente di produrre armi per l’esercito. Ma il risultato è che oggi i confini tra ciò che è civile e ciò che è militare di fatto non esistono più.
Colpire un edificio nel centro di Kiev che ospita un’officina per droni può causare vittime tra i residenti. È un fatto. Ma è anche un fatto che chi ha deciso di collocare lì una struttura militare ha contribuito a trasformare quella casa in un bersaglio.
Il diritto internazionale, su questo punto, è chiaro: la protezione dei civili richiede che le attività militari siano tenute separate dalla vita quotidiana. Se ciò non accade, il rischio ricade su tutti. Anche sulle famiglie che abitano ignare sopra una linea di produzione di materiale militare.
Ogni scelta ha un costo. E ogni errore si paga. L’Ucraina ha deciso di reinventare la logistica bellica, coinvolgendo città e civili. Sacrificare vite umane per salvare droni e armi. Un nuovo metro di misura per i valori di Kiev? O l’ennesima linea grigia che l’Occidente preferisce non vedere?